Dopo la prima cottura, l’argilla è cambiata. È una forma definita che attende di essere vestita, come un corpo nudo in attesa di identità. Smaltare significa l’oggetto dentro una sospensione liquida, opaca e pastosa, sapendo che da lì verrà qualcosa che ancora non si può vedere. È un gesto che prepara alla trasformazione, ma senza rivelarla subito.
Il ruolo nel processo
Smaltare è applicare uno strato sottile di materia, una sospensione di silice, argille, fondenti e ossidi sulla superficie ceramica già cotta.
Ci sono diversi modi per farlo, i principali sono immersione e colatura. Con l’immersione il pezzo viene rapidamente tuffato in un secchio di smalto liquido; invece, con la colatura lo smalto viene versato sull’oggetto. Ogni tecnica richiede attenzione, la superficie deve essere pulita, asciutta, priva di polveri, la quantità calibrata, la base protetta o successivamente pulita, per evitare che lo smalto fonda e incolli il pezzo al piano del forno. Il gesto tecnico diventa un equilibrio sottile, tra precisione e fluidità, tra copertura e rispetto della forma. È una fase delicata, dove l’errore è invisibile ma si vedrà dopo.
Il gesto come rito
Lo smalto, da crudo, non assomiglia per nulla al risultato finale. Un blu intenso può apparire grigio, un verde chiaro sembrare panna.
Si lavora con l’immaginazione, con la memoria delle reazioni chimiche, con l’esperienza di errori e scoperte. Eppure, non si può mai sapere tutto. Anche il gesto più attento lascia spazio all’imprevisto. Lo smalto può colare troppo, coprire troppo, spezzarsi in bolle o ritirarsi.
Smaltare è quindi una scommessa gentile, c’è fiducia nel gesto, fiducia nella materia.
Si fa qualcosa senza vedere subito il risultato, ma con l’intenzione chiara che da lì, qualcosa emergerà.
Aspettare la rivelazione
Dopo aver smaltato, si attende. I pezzi vengono messi da parte, spesso su assi o piastre, con la superficie ancora opaca e polverosa. Il colore è assente, il risultato invisibile.
Ma qualcosa è già cambiato, si è dichiarata un’intenzione. Come quando si lascia sedimentare un pensiero, senza più toccarlo. In cui si smette di intervenire e si lascia che il processo faccia il suo corso. Smaltare è quel tipo di gesto, non è conclusivo, ma è orientato.
Un gesto che non chiude, ma prepara a vedere.
Meditazione in movimento
La smaltatura è un gesto lento, misurato, che obbliga alla precisione senza rigidità.
Si lavora in silenzio, spesso da soli.
Il ritmo delle mani che versano, ruotano il pezzo diventa quasi una danza piccola, interiore.
Non c’è spazio per la distrazione, l’attenzione è tutta lì, nel liquido che copre, nel bordo che non deve sbavare, nel colore che ancora non si vede. È un esercizio di fiducia nel processo.
Proprio come nella meditazione, si accoglie l’incertezza e la si lascia andare. Non si cerca il controllo, si resta presenti.
L’attesa che contiene
Dopo la smaltatura, il pezzo si mette da parte. L’opacità dello smalto asciutto è quasi deludente, anonima. Ma è lì che riposa la possibilità. È un tempo in cui non si fa più nulla, se non aspettare.
Un’attesa che sa di sospensione, di respiro trattenuto.
Si sa che qualcosa succederà, ma non ora, e non sotto gli occhi.
E questa attesa diventa essa stessa parte del processo, si impara a lasciar andare l’ansia del risultato, a fidarsi della trasformazione che avverrà, invisibile, nel cuore del forno.
Nel gesto di smaltare, c’è già tutto il desiderio di vedere. E la pazienza di non farlo subito.
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