Nacque a Istanbul nel 1910, Füreya ha avuto al contempo il privilegio e la sfortuna di essere nata in una famiglia appartenente alla borghesia ottomana in un contesto storico in cui l’Impero Ottomano stava decadendo in maniera lenta ed inesorabile. Era figlia di Emin Koral, ufficiale ottomano e compagno di classe di Mustafa Kemal nella stessa scuola, e discendente di una famiglia d’arte che includeva la pittrice Aliye Berger, il celebre scrittore Cevat Şakir (il Pescatore di Alicarnasso) e Fahrenissa Zeid, principessa irachena e artista di fama internazionale, alla quale il TATE ha dedicato una retrospettiva.

Nel periodo in cui il profilo artistico di Füreya stava prendendo forma, le fu diagnosticata una grave tubercolosi che la costrinse a trasferirsi in un sanatorio in Svizzera nel 1947. Fu in quel contesto che Aliye Berger le portò dell’argilla, intuendo il suo desiderio di un mezzo più libero e concreto; questo gesto segnò l’inizio della sua intensa relazione con la ceramica, che le offrì allo stesso tempo conforto e uno spazio creativo. Dopo due anni di cure, Füreya si spostò a Parigi per approfondire la sua ricerca artistica e inserirsi nell’ambiente culturale della città, dove riceve anche insegnamenti da artisti di fama come Fernand Léger e André Lhote e realizzò la sua prima mostra personale presso la Galerie M.A.I.

Tornata in Turchia, portò con sé una visione innovativa: considerare la ceramica non solo come oggetto funzionale, ma come linguaggio autonomo capace di dialogare con l’architettura e gli spazi pubblici. Nel 1951 aprì il suo primo atelier a Istanbul, il primo studio privato di ceramica in Turchia, che divenne anche luogo di incontro e formazione per molti artisti turchi emergenti, e qui iniziò a creare pannelli murali destinati a diventare punti di riferimento dell’arte moderna nel paese.


Un’altra delle sue significative realizzazioni pubbliche si trova nel centro commerciale IMÇ di Istanbul, dove Füreya progettò un pannello murale ispirati al senso di armonia e solennità evocato dal vicino Complesso di Süleymaniye, incarnando la sua poetica basata sulla sintesi tra forma, colore e materia. In quest’opera, le superfici volutamente irregolari dialogano con motivi geometrici rigorosi, mentre la palette cromatica, calda e naturale, conferisce profondità e armonia all’insieme. L’uso di smalti differenti e di texture variegate non solo arricchisce l’esperienza visiva, ma permette anche di percepire l'attenzione dell'artista al ritmo, alla luce e alla spazialità, conferendo al visitatore la sensazione di trovarsi di fronte a un’arte che, pur integrata nella vita quotidiana, conserva la sua forza espressiva e il fascino intrinseco della ceramica contemporanea.

La sua sensibilità, unita a una profonda curiosità tecnica, ha generato opere che ancora oggi trasmettono un senso di armonia e umanità. Dopo aver subito due aborti e aver vissuto numerose perdite in famiglia, e nei successivi anni segnati dalla lotta contro la tubercolosi, Füreya trovò una forma di rinascita; solo allora sentì per la prima volta di poter dare vita con le proprie mani, trasformando la sofferenza personale in creazioni vive e vibranti. Le sue ceramiche, con le loro superfici tattili e il dialogo tra terra e fuoco, rivelano così non solo la sua maestria tecnica, ma anche il potere terapeutico e vitale della creazione artistica.

Nel 1955 ricevette la Medaglia d’Argento alla Mostra Internazionale di Cannes, nel 1962 la Medaglia d’Oro alla Mostra Internazionale di Praga, nel 1967 la Medaglia d’Argento a Istanbul, e fu premiata anche allo Smithsonian Institution di Washington e con un Diploma d’Onore al Biennale di Vallauris in Francia. Le sue opere sono state esposte al Salon d’Octobre di Parigi, al Museo d’Arte Moderna di Città del Messico, al Museo Napstkovo di Praga e allo Smithsonian Institution di Washington.

Grazie, Füreya, non solo per la tua arte, ma anche per averci mostrato che è possibile affrontare le difficoltà della vita senza mai arrendersi, trasformando le prove più dure nelle proprie qualità più forti e più belle, e per aver trasformato la terra tra le tue mani in qualcosa che parla direttamente al cuore.

“L’argilla ti parla, devi soltanto imparare ad ascoltarla.”
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